Isabella d’Este è una delle donne più importanti del Rinascimento: di origini nobili, ha un’enorme influenza per lo sviluppo dell’arte a Mantova, la città dove si trasferisce con il matrimonio, e la sua corrispondenza con numerosi artisti, segretari, agenti, è fondamentale per comprendere il ruolo di donne eccezionali per l’arte tra Quattrocento e Cinquecento.
Isabella fu la prima donna ad avere uno spazio privato, lo studiolo, dove custodire le opere d’arte che aveva commissionato agli artisti di corte, come Mantegna, ma anche a forestieri, come Perugino, e dove aveva dato vita a una straordinaria collezione di antichità.
Isabella d’Este da Ferrara a Mantova
Isabella è la figlia primogenita del duca Ercole I d’Este, sua madre è Eleonora d’Aragona, a sua volta figlia di re Ferdinando di Napoli. Nasce a Ferrara il 17 maggio del 1474, dopo due gravidanze non portate a termine: forse per questo il suo arrivo viene celebrato in modo straordinario, e Isabella cresce, fin da bambina, con un’educazione non sempre riservata alle fanciulle: conosce il latino e la musica, impara a cantare e danzare.
Il suo destino è ovviamente un matrimonio che rafforzi le alleanze politiche tra i piccoli ma potenti stati dell’Italia padana: viene promessa in sposa a Francesco II Gonzaga, figlio del marchese di Mantova. Così, quando qualche giorno dopo arriva da Milano la richiesta di una sposa per Ludovico Sforza, al futuro duca verrà promessa Beatrice, la sorella minore. Le fonti ricordano di una sottile rivalità tra Isabella e Beatrice, con la seconda destinata in apparenza a un futuro più luminoso e a un più alto titolo nobiliare.
Il 12 febbraio del 1490 Isabella e Francesco si sposano a Ferrara: immediatamente Isabella lascia la sua patria per arrivare, tre giorni dopo, a Mantova, dove l’attende lo sposo che, secondo l’uso del tempo, non ha presenziato al matrimonio. Dall’unione nasceranno sei figli: il maschio, Federico, arriverà tardi, il 17 maggio del 1500, e così, finalmente, Francesco II avrà un erede al trono.
Isabella abile politica
Isabella gioca un ruolo fondamentale nella politica mantovana. Nel 1509 la sua città natale, Ferrara, e la sua città d’adozione, Mantova, entrano a far parte della Lega di Cambrai, insieme a papa Giulio II, a Ferdinando II d’Aragona, re di Napoli e di Sicilia, all’imperatore del Sacro romano impero Massimiliano I d’Asburgo, al re di Francia Luigi XII: lo scopo è abbattere la potenza di Venezia. L’8 agosto del 1509 però Francesco Gonzaga venne catturato dai veneziani: nell’anno della sua prigionia lo stato è retto da Isabella d’Este, che lavora attivamente al rilascio del marito e dimostra doti politiche eccezionali.
Dieci anni dopo Isabella d’Este è di nuovo reggente: rimasta vedova nel 1519, guida il marchesato nell’attesa della maggiore età del figlio.
Molti anni dopo, sopravvissuta all’evento traumatico del Sacco (si trova infatti a Roma nel 1527), è grazie a lei che il marchesato di Mantova diventa un ducato: l’imperatore Carlo V infatti promuove il figlio di Isabella a primo duca della città. Le relazioni con il figlio non sono facilissime – e Federico mal sopporta le ingerenze della madre nella sua vita privata – ma Isabella continua a tessere con abilità le sue reti diplomatiche: lo fa soprattutto scrivendo, e le sue lettere conservate sono oggi più di 15.000.
Lo studiolo e la grotta di Isabella d’Este
Isabella è la prima donna a immaginare e realizzare “una stanza tutta per sé”, dove poter studiare, leggere, scrivere la corrispondenza e soprattutto mostrare la sua collezione di opere d’arte. Il primo studiolo di Isabella si trova nella torre nord est del Castello di San Giorgio, la parte più antica della residenza dei Gonzaga. Una volta rimasta vedova, con l’ascesa al potere del figlio Federico, Isabella trasloca nella cosiddetta Corte Vecchia, nel Palazzo ducale. Qui fa costruire un sistema formato, oltre che dal suo appartamento e dalle stanze di rappresentanza, da una serie di ambienti, che comprendono, oltre allo studiolo vero e proprio, una stanza chiamata grotta, dedicata alle antichità e un giardino segreto.
Per lo studiolo Isabella commissiona un ciclo di dipinti ispirati alla filosofia platonica, con scene allegoriche che alludono alle virtù della marchesa e al suo buon governo. Tra il 1496 e il 1530, nascono così Il Parnaso e Minerva scaccia i Vizi dal giardino delle Virtù, di Andrea Mantegna, la Battaglia tra Amore e Castità di Perugino; Isabella d’Este nel regno di Armonia e Il regno del dio Como di Lorenzo Costa e le due Allegoria della Virtù e Allegoria del Vizio di Correggio. Dopo la dispersione delle collezioni Gonzaga, tutti i dipinti, da strade diverse, sono giunti a Parigi e ora si trovano al Louvre.
Alcuni anni fa il Cineca, dell’Università di Bologna, in collaborazione con l’Università Santa Cruz in California, ha dato avvio a un progetto di ricostruzione virtuale dello studiolo di Isabella d’Este: qui potete vederne una breve presentazione.
Le istruzioni di Isabella d’Este per Perugino
L’interesse di Isabella per le decorazioni del suo studiolo è testimoniata da un fonte eccezionale: una lettera composta dalla marchesa il 19 gennaio del 1503 e allegata al contratto che Isabella stipula con il pittore Perugino per la tela della Battaglia tra Amore e Castità. La lettera è dettagliatissima e testimonia della nascita di un programma molto dettagliato, elaborato insieme agli umanisti di corte.
“La poetica nostra inventione, la quale grandemente desidero da voi esser dipinta, è una battagla di Castità contro di Lascivia, cioè Pallade e Diana combattere virilmente contro Venere e Amore. E Pallade vol parere quasi de avere come vinto Amore, havendoli spezato lo strale d’oro et l’arco d’argento posto sotto li piedi, tenendolo con l’una mano per il velo che il cieco porta inanti li ochi, con l’altra alzando l’asta, stia posta in modo di ferirlo. Et Diana al contrasto de Venere devene mostrarsi eguale nella vittoria; et che solamente in la parte extrinsecha del corpo come ne la mitra e la girlanda, overo in qualche velettino che abbi intorno, sia da lei saettata Venere; et Diana dalla face di Venere li habbia brusata la veste et in nulla altra parte sian fra loro percosse. Dopo queste quatro deità, le castissime seguace nimfe di Pallade e Diana habbino con varii modi e atti, come a voi piú piacerà, a combattere asperamente con una turba lascivia di fauni, satiri et mille varii amori. Et questi amori a rispetto di quel primo debbono essere piú picholi con archi non d’argento, né cum strali d’oro, ma piú di vil materia come di legno o ferro o d’altra cosa che vi parrà.
Et per piú expressione et ornamento della pittura dallato di Pallade li vuol esser la oliva arbore dedicata allei, dove lo scudo li sia riposto col capo di Medusa, facendoli posare fra quelli rami la civetta, per essere ucciello proprio di Pallade; dallato di Venere si debbe farli el mirto, arbore gratissima allei.
Ma per maggior vaghezza li vorebbe uno acomodato lontano, cioè uno fiume overo mare dove si vedessero passare in sochorso d’Amore, fauni, satíri et altri amori, e chi di loro notando passare el fiume e chi volando, e chi sopra bianchi cigni cavalcando, se ne venissero a tanta amorosa impresa. E sopra el lito del detto fiume o mare Jove con altri iddei, come nemico di castità, trasmutato in tauro portasse via la bella Europa, e Mercurio, qual aquila sopra preda girando, volasse intorno ad una nympha di Pallada chiamata Glaucera, la qual nel braccio tiene un cistello ove sono li sacri della detta iddea; e Polifemo ciclope con un solo occhio coresse diretro a Galatea, et Phebo a Daphne già conversa in lauro, et Pluton, rapita Proserpina, la portasse allo infernale suo regno, et Neptuno pigliasse una nimpha e conversa quasi tutta in cornice…
Ma parendo forse a voi che queste figure fussero troppe per uno quadro, a voi stia di diminuire quanto vi parerà, purché poi non li sia rimosso el fondamento principale, che è quelle quatro prime, Pallade, Diana, Venere, et Amore. Non accadendo incomodo mi chiamerò satisfatta sempre; a sminuirli sia in libertà vostra, ma non agiugnierli cosa alcuna altra.”
La lettera doveva essere accompagnata da un disegno, che purtroppo non è ancora stato reperito o forse è andato perduto.
Sappiamo però che quando il dipinto fu consegnato, nel 1505, Isabella non fu pienamente soddisfatta: sollevò critiche sulla tecnica artistica – la tempera, invece che l’olio che avrebbe preferito, anche se avrebbe reso il dipinto innegabilmente diverso da quelli di Mantegna, già realizzati. Il pagamento infatti non fu alto, soltanto 100 ducati.
Isabella d’Este, Andrea Mantegna e il busto di Faustina
Un’altra serie di lettere, questa volta scambiate tra Isabella d’Este, Andrea Mantegna e Gian Giacomo Calandra, segretario personale del Marchese Francesco, racconta una complessa vicenda: l’acquisto, da parte di Isabella, di un busto antico raffigurante Faustina, moglie dell’imperatore Antonino Pio, vissuta nel secondo secolo d.C.
A iniziare lo scambio epistolare è Andrea Mantegna: con tono umile, ma cordiale, il pittore non chiede banalmente un prestito: propone invece di venderle la sua cara Faustina di marmo antica, un busto romano, pezzo importante della sua collezione. Nel fare questa proposta fa leva sull’amore della marchesa per l’arte antica, ma anche sulla sua vanità: già nel 1498 Isabella ha infatti costretto l’artista a venderle un altro busto femminile antico, sostenendo che le assomigliasse. Il prezzo proposto è di cento ducati.
Sette mesi dopo, il 15 luglio 1506, è Gian Giacomo Calandra, segretario personale del Marchese Francesco, a scrivere a Isabella d’Este: dopo aver visitato Mantegna e averlo trovato molto querulo sopra li disagi e le necessità sue, ha offerto all’artista un prezzo considerevolmente più basso. Ma come riferisce alla marchesa, Mantegna ha minacciato di non vendere il pezzo, e di offrirlo invece al vescovo Ludovico Gonzaga.
La vendita, dopo queste laboriose contrattazioni, avviene finalmente il mese successivo. Il 4 Agosto del 1506, Isabella scrive di suo pugno ad Andrea Mantegna: Havemo la vostra testa de Faustina, qual ne piace et desyderamo havere per il pretio che medemo vorreti per che quando non la valesse li cento ducati faressimo conto donarveli per farvi piacere et commodo… Il busto è effettivamente bello, scrive Isabella, anche se a detta sua non vale cento ducati, ma è comunque disposta a pagarli per fargli piacere. Ma i soldi non possono arrivare subito, aggiunge, a Mantova c’è la peste e i contanti scarseggiano.
Avrà Andrea ricevuto i cento ducati che tanto insistentemente chiedeva? Potete ascoltare la storia di questo scambio epistolare – che ci aiuta a capire come Isabella d’Este sceglieva oculatamente cosa acquistare per il suo studiolo e la sua grotta in uno dei podcast che ho realizzato in collaborazione con Loescher editore e che sono dedicati alle vite dei grandi artisti e che trovate su Spotify.
Per saperne di più
La lettera diretta a Perugino e lo scambio con Mantegna per l’acquisto del busto di Faustina sono solo due tasselli per ricostruire una delle personalità più complesse tra i committenti del Rinascimento. Per Isabella d’Este dipingono Giovanni Bellini, Tiziano e Leonardo…ma di queste storie avremo modo di parlare ancora.
Intanto, se volete avvicinarvi alla figura di Isabella d’Este, vi consiglio due libri, molto diversi tra loro: il primo è il volume di Stephen Campbell, professore alla Johns Hopkins University e famoso studioso di Mantegna, The Cabinet of Eros: Renaissance Mythological Painting And the Studiolo of Isabella D’Este; il secondo è il saggio di Alessandra Necci, Isabella e Lucrezia, le due cognate, dedicato a Isabella, ma anche alla potentissima cognata Lucrezia Borgia.
Grazie per questo bellissimo articolo.
Si ……veramente interessante
Grazie mille!