Roma, estate del 1638. Uno scandalo si abbatte sulla città di Roma e sul suo artista più famoso, Gian Lorenzo Bernini. Da tempo (anni? mesi? non lo sappiamo) il più celebre artista dell’Urbe ha una relazione con una bellissima donna, Costanza Piccolomini Bonarelli.
Costanza è imparentata, alla lontana, con una ricchissima famiglia senese: è nata intorno al 1614 e suo padre, Leonardo Piccolomini, è originario di Viterbo e appartiene al ramo cadetto del casato dei Piccolomini. Nel 1625, a undici anni Costanza vive nella parrocchia di San Lorenzo in Lucina. Sua madre deve essere morta perché i documenti ci ricordano che la bambina abita con il padre e con Tiberia, nuova moglie di Leonardo Piccolomini. Molti anni dopo, redigendo il suo testamento il 23 gennaio del 1662, Costanza non cita la madre, che doveva essere dunque scomparsa in giovane età, forse dando alla luce la figlia.
Leonardo Piccolomini è uno staffiere – un’occupazione umile – ma Costanza farà di tutto per dimostrare le sue nobili origini: si fa chiamare “signora” e soprattutto non manca di ricordare, anche nel testamento, il suo legame con la famiglia senese, scrivendo che la sua eredità può andare ai discendenti, purché si chiamino Piccolomini.
Grazie all’interessamento della confraternita romana di San Rocco, che, tra le varie opere di carità, si occupava anche di far maritare le zitelle, Costanza riceve una dote: il documento redatto il 15 agosto del 1628, ricorda che Giambattista Borghese, fratello del defunto papa Paolo V, ha versato alla “zitella di Viterbo” 45 scudi, una cifra che grossomodo corrisponde all’affitto di un modesto appartamento in città. Altri 26 scudi si aggiungono due anni dopo, grazie al generoso contributo di un’altra pia associazione, la Confraternita del Gonfalone.
Costanza può finalmente sposarsi: il prescelto è uno scultore, restauratore e piccolo collezionista d’arte, il lucchese Matteo Bonarelli. Il matrimonio è celebrato il 16 febbraio 1632 a San Lorenzo in Lucina e entro la fine del mese vengono firmati i documenti ufficiali tra il padre di Costanza, Leonardo, e Matteo Bonarelli: in questi si legge che ormai la dote della donna ammonta a 289 scudi, una cifra abbastanza rilevante. Costanza ha 18 anni e Matteo 28: la coppia va ad abitare ai piedi del colle del Quirinale, in vicolo Scanderbeg.
Non sappiamo quando inizi la relazione con Gian Lorenzo Bernini, e non sappiamo nemmeno se Matteo sapesse che sua moglie era l’amante del suo datore di lavoro: Matteo infatti lavora per Gian Lorenzo Bernini e ha collaborato con lui per l’esecuzione del baldacchino di San Pietro.
Ma non è la relazione tra Costanza e Bernini a far scoppiare lo scandalo: nell’estate del 1638 Gian Lorenzo scopre infatti che Costanza ha una relazione anche con suo fratello Luigi Bernini, scultore e architetto, anche lui impegnato, negli anni precedenti, nel cantiere del baldacchino.
La reazione di Gian Lorenzo è scomposta: la conosciamo da una lettera di Angelica Galante Bernini, la madre del famoso scultore, che nell’autunno del 1638 scrive al cardinale Francesco Barberini, invocando il suo aiuto: Gian Lorenzo infatti, ha minacciato il fratello con la spada, e solo un uomo di chiesa può suggerire un modo per “raffrenare l’impeto di questo mio figlio”. Luigi Bernini, spaventato dalla collera del fratello, ha abbandonato l’Urbe e si sta nascondendo a Bologna. Angelica è preoccupate della sorte dei due fratelli: racconta come Gian Lorenzo “venne armata mano, altri huomini seco, per uccidere suo fratello Luigi” e non avendolo trovato in casa lo ha rincorso per mezza Roma. Quelli che Angelica non nomina sono i motivi di tanta collera: nella sua lettera infatti non una parola viene spesa per Costanza.
La madre non fa nemmeno menzione dell’aggressione che invece, in quella calda estate del 1638 doveva essere sulla bocca di tutti. Gian Lorenzo infatti aveva mandato un servo, con l’inganno, a casa di Costanza: si era presentato con del vino in regalo e mentre Costanza gli si era fatta vicina, l’aveva sfregiata in volto con un coltello. Una punizione terribile, destinata a sfigurare il volto della bellissima donna di Viterbo e a lasciarle una cicatrice che avrebbe fatto conoscere a tutti la sua colpa: sfregi di questo tipo erano infatti comuni per le prostitute e le cortigiane.
Mentre papa Urbano VIII in persona – lo zio del cardinale cui ha scritto Angelica Barberini – risponde alla madre preoccupata dicendo di avere in grande stima Gian Lorenzo, “uomo raro, ingegno sublime e nato per disposizione divina e per gloria di Roma a portar luce a questo secolo”, le cose a Roma sembrano mettersi malissimo per Costanza: trattata come un’adultera è detenuta nella Domus Pia de Urbe, un monastero in cui sono rinchiuse le donne peccatrici. Esiliati da Roma sono il servo – autore materiale del crimine – e Luigi Bernini, mentre Gian Lorenzo, il vero mandante, è condannato a una pena lieve, una multa che non pagherà mai.
Il 7 aprile 1639, dopo aver scritto una straziante supplica al Governatore, Costanza viene “restituita al marito”, forse complice fin dall’inizio dello scandalo. I due rimarranno insieme: dopo la morte di Bonarelli, il 18 gennaio del 1654, “la Signora Costanza Piccolomini, mia dilettissima moglie”, come il marito la chiama nel testamento, prosegue l’attività di mercante d’arte e collezionista del consorte, arrivando ad aprire al pubblico la sua collezione d’arte.
Cosa resta di questa vicenda? Un bellissimo busto scolpito da Gian Lorenzo Bernini prima dello scandalo e dello sfregio: Costanza ci viene presentata in un momento di intimità con i capelli scomposti, la camicia aperta sul seno, gli occhi pieni di vita e di energia, le labbra appena dischiuse. Un ritratto d’amore, è stato detto, scolpito da Bernini per la sua contemplazione privata, unica donna di modeste origini in una galleria di ritratti di papi e sovrani.
Già nel 1645 – pochissimi anni dopo averlo scolpito, il busto è nella raccolta privata della famiglia Medici, agli Uffizi, a riprova che Bernini dovette disfarsene rapidamente, con il precipitare degli eventi.
Sappiamo poco degli ultimi anni di vita di Costanza: nella Pasqua del 1657 un documento la dichiaramadre di una bimba di 3 anni, Olimpia Caterina Piccolomini che, dunque, doveva essere nata poco più di un anno dopo la morte del marito.
Possediamo il suo testamento, redatto una prima volta nel febbraio 1659, e poi in parte modificato con un codicillo tre giorni prima di morire, il 30 novembre 1662. La morte, curiosamente, la avvicina ai protagonisti di quell’estate di scandali del 1638: Costanza infatti non viene sepolta nella cripta dove giace il marito, nella parrocchia dei Ss. Vincenzo e Anastasio, nel rione di Trevi, ma nella basilica papale di Santa Maria Maggiore. Quasi vent’anni dopo, nella stessa chiesa, verranno seppelliti prima Gianlorenzo e poi Luigi Bernini.
Sulla vicenda di Costanza Bonarelli esiste un bellissimo libro, per ora solo in inglese, scritto da una docente di storia dell’arte e dell’architettura alla Emory University di Atlanta: Sarah McPhee, Bernini’s beloved. Portrait of Costanza Piccolomini, Yale University Press, 2012 (qui la scheda sul volume sul sito della casa editrice)